5. Il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen


Il dibattito tra fisici di opposte tendenze si focalizzò attorno ad un articolo pubblicato nel 1935 a firma di A. Einstein, B. Podolsky e N. Rosen con titolo: 'La descrizione quanto-meccanica della realtà fisica può essere considerata completa?'.

In questo articolo gli autori, dopo un'introduzione epistemologica sulla valenza conoscitiva della Fisica, proponevano un esperimento mentale da cui, secondo essi, si evinceva che nella descrizione delle singole particelle la Meccanica Quantistica portava a risultati contraddittori.

L'articolo, estremamente efficace anche dal punto di vista letterario per la lucida concisione in relazione alla complessità degli argomenti affrontati, è praticamente impossibile da riassumere. Se ne riportano i passi ritenuti più significativi dal punto di vista metodologico.

Nel prendere seriamente in considerazione qualunque teoria fisica bisogna valutare la distinzione tra la realtà oggettiva, che è indipendente da ogni teoria, e i concetti fisici usati dalla teoria. Questi concetti sono formulati allo scopo di corrispondere alla realtà oggettiva e per mezzo di questi concetti noi ci rappresentiamo questa realtà.

Nel giudicare il successo di una teoria fisica dobbiamo porre a noi stessi due domande:

  1. La teoria è corretta?
  2. La descrizione data dalla teoria è completa?

La correttezza della teoria è valutata dal grado di concordanza tra le conclusioni di una teoria e l'esperienza umana. Questa esperienza, che sola ci permette di trarre inferenze sulla realtà, in Fisica è costituita da esperimento e misura.

Qualunque sia il significato assegnato alla parola completo il seguente requisito per una teoria completa sembra uno di quelli necessari: ogni elemento della realtà fisica deve avere una controparte nella teoria fisica. La seconda domanda riceve facile risposta non appena siamo capaci di decidere quali sono gli elementi della realtà fisica.

Gli elementi della realtà fisica non possono essere determinati da considerazioni filosofiche a priori, ma devono essere rintracciati con un ricorso a risultati di esperimenti e misure. Una definizione esaustiva di realtà non è comunque necessaria al nostro proposito. Ci basterà questo criterio che ci sembra ragionevole. Se, senza disturbare in nessun modo un sistema possiamo predire con certezza (cioè con probabilità uguale a uno) il valore di una grandezza fisica, allora esiste un elemento della realtà fisica corrispondente a questa grandezza.

Troviamo qui enunciati i fondamentali assunti epistemologici di Einstein e il nucleo fondamentale della sua critica alla Scuola di Copenhagen. In sintesi:

  1. Conoscere è conoscere qualcosa che esiste indipendentemente dall'osservatore e dalle sue teorie. Si rifiuta quindi il principio di Berkeley:Esse est percipi che, secondo gli autori, sta alla base dalla scuola di Copenhagen, e si afferma invece l'esistenza di una realtà oggettiva.
  2. Le conoscenze su questa realtà vengono organizzate in teorie, puro prodotto dell'intelletto umano, che controllano la loro adeguatezza interagendo con la realtà oggettiva tramite esperimenti e misure.
  3. Una teoria, oltre che adeguata, deve essere completa e lo è solo se ogni elemento di realtà ha un corrispondente nella teoria.
  4. Criterio di realtà: una grandezza corrisponde ad un elemento di realtà se se ne può stabilire a priori il valore senza interagire direttamente (disturbare) con l'elemento stesso, cioè senza che l'elemento sia osservato da qualcuno.

Einstein e compagni nel resto dell'articolo contestano la completezza della Meccanica Quantistica, dimostrando che i suoi elementi teorici non riescono a rendere conto di proprietà che secondo il loro criterio di realtà devono essere ritenute oggettive e concludono il loro scritto dicendo:

Mentre abbiamo dimostrato che la funzione d'onda (cioè la teoria quantistica: ndr) non fornisce una descrizione completa della realtà fisica, lasciamo aperto il problema se esista o no una descrizione completa. Crediamo comunque che una tale teoria sia possibile.

Invece di riferire l'esperimento mentale considerato nell'articolo, che presenta qualche difficoltà per i non specialisti, si riporta un'argomentazione analoga proposta da Einstein nel 1942 (A. Einstein scienziato e filosofo).

Come sistema fisico consideriamo un atomo radioattivo con un tempo di decadimento medio ben definito, localizzato in un punto del sistema di coordinate. Il processo radioattivo consiste nell'emissione di una particella. Il processo radioattivo si può descrivere con una funzione ψ in tre dimensioni che, nell'istante t=0, è diversa da zero solo all'interno del volume dell'atomo ma che per valori positivi del tempo si espande nello spazio esterno. Questa funzione ψ esprime la probabilità che la particella, in un certo istante arbitrario, si trovi effettivamente in una data parte dello spazio (sia, cioè, effettivamente trovata in essa quando si misuri la sua posizione). D'altra parte la funzione ψ non implica alcuna affermazione sul momento della disintegrazione dell'atomo radioattivo.

Poniamoci ora questo problema: questa descrizione teorica può essere considerata come la descrizione completa della disintegrazione di un singolo atomo? Immediatamente la risposta più attendibile è: No. Infatti si è portati immediatamente a pensare che il singolo atomo decada in un tempo ben definito; ma la descrizione compiuta dalla funzione ψ non implica affatto un valore temporale ben definito. Quindi, se il singolo atomo ha tempo di disintegrazione definito, allora nei riguardi del singolo atomo la descrizione compiuta per mezzo della funzione ψ dev'essere interpretata come una descrizione incompleta. In questo caso la funzione ψ dev'essere considerata come la descrizione non di un singolo sistema ma di un insieme ideale di sistemi. Si è portati così alla convinzione che una descrizione completa di un singolo sistema, alla fin fine, debba essere possibile, ma per una descrizione completa di questo genere non c'è posto nel sistema concettuale della teoria dei quanti.