Galileo e Keplero


Si propongono qui due lettere di Galileo a Giuliano De' Medici, ambasciatore della Toscana presso l'imperatore Rodolfo II, residente in Praga. L'imperatore aveva nominato Keplero matematico di corte. L'ambasciatore è quindi il tramite della corrispondenza tra Keplero e Galileo.

Con queste lettere, oltre a comunicare le sue più recenti scoperte al più famoso astronomo europeo, Galileo intende lasciare un documento ufficiale della priorità delle sue scoperte rispetto agli altri astronomi europei. Da quando, sull'esempio di Galileo, molti astronomi avevano cominciato a puntare verso il cielo telescopi sempre più perfezionati, non erano rare le diatribe su chi per primo avesse fatto questa o quella scoperta. Galileo stesso aveva dovuto difendere energicamente la sua priorità nella scoperta delle macchie solari.

Talora, per garantirsi la priorità di una scoperta senza però che qualche concorrente, avutane informazione, ne approfittasse per avvantaggiarsene nelle sue ricerche, si ricorreva ad enigmi e anagrammi o ad entrambi insieme.

Da notare che Galileo, dati i limiti dei suoi strumenti, che egli perfezionava continuamente personalmente, osservò per primo gli anelli di Saturno senza però riconoscerli come tali; pensò che fossero due satelliti del pianeta, che così assomigliava a Giove, di cui aveva scoperto i quattro satelliti da lui denominati medicei.


A GIULIANO DE' MEDICI IN PRAGA
(Firenze, 13 novembre 1610)

Ma passando ad altro, già che il S. Keplero ha in questa sua ultima Narrazione stampate le lettere che io mandai a V. S. Ill.ma (*)Vostra Signoria Illustrissima trasposte(*)anagrammate, venendomi anco significato come S. M.à (*)Sua Maestà ne desidera il senso, ecco che io lo mando a V. S. Ill.ma, per participarlo con S. M.à, col S. Keplero, e con chi piacerà a V. S. Ill.ma, bramando io che lo sappi ogn'uno.

Le lettere dunque, combinate nel loro vero senso, dicono così:

"Altissimum planetam tergeminum observavi(*)Ho scoperto che il pianeta più lontano è trigemino".

Questo è, che Saturno, con mia grandissima ammirazione, ho osservato essere non una stella sola, ma tré insieme, le quali quasi si toccano; sono tra di loro totalmente immobili, e costituite in questa guisa o O o;
quella di mezzo è assai più grande delle laterali; sono situate una da oriente e l'altra da occidente, nella medesima linea retta a capello; non sono giustamente secondo la drittura del zodiaco, ma la occidentale si eleva alquanto verso borea; forse sono parallele all'equinoziale.

Se si riguarderanno con un occhiale che non sia di grandissima multiplicazione, non appariranno 3 stelle ben distinte, ma parrà che Saturno sia una stella lunghetta in forma di una uliva, così saturno;
ma servendosi di un occhiale che multiplichi più di mille volte in superficie, si vedranno li 3 globi distintissimi, e che quasi si toccano, non apparendo tra essi maggior divisione di un sottil filo oscuro.

Or ecco trovata la corte a Giove, e due servi a questo vecchio (*)dopo avere scoperto i quattro satelliti di Giove, ne ho scoperti due di Saturno, che l'aiutano a camminare ne mai se gli staccano dal fianco.

Intorno a gl'altri pianeti non ci è novità alcuna. Etc.


A GIULIANO DE' MEDICI IN PRAGA
(Firenze, li gennaio 1611)

Ill.mo et Rever.mo Sig.re mio Col.mo

È tempo che io deciferi a V. S. Ill.ma e R.ma, e per lei al S. Keplero, le lettere trasposte (*)anagrammate le quali alcune settimane sono gli inviai: è tempo, dico, già che sono interissimamente chiaro della verità del fatto, sì che non ci resta un minimo scrupolo o dubbio.

Sapranno dunque come, circa 3 mesi fa, vedendosi Venere vespertina (*)a occidente, dopo il tramonto, la cominciai ad osservare diligentemente con l'occhiale, per veder col senso stesso quello di che non dubitava l'intelletto (*)per osservare direttamente un fenomeno di cui ero già teoricamente sicuro.

La veddi dunque, sul principio, di figura rotonda pulita e terminata (*)All'inizio la vidi di forma rotonda e ben definita, ma molto piccola (*)perché alla massima distanza dalla Terra: di tal figura si mantenne sino che cominciò ad avvicinarsi alla sua massima digressione(*)massima distanza dal Sole, tutta via andò crescendo in mole(*)grandezza: si stava avvicinando alla Terra. Cominciò poi a mancare dalla rotondità nella sua parte orientale e aversa al sole (*)perdere rotondità nella sua parte orientale opposta al Sole, e in pochi giorni si ridusse ad essere un mezo cerchio perfettissimo; e tale si mantenne, senza punto alterarsi, sin che incominciò a ritirarsi verso il sole allontanandosi dalla tangente (*)riavvicinarsi al Sole, allontanandosi dal punto estremo. Ora va calando dal mezo cerchio e si mostra cornicolata(*)cornuta, falciforme, e anderà assottigliandosi sino all'occultazione (*)sino a sparire dalla vista, riducendosi allora con corna sottilissime; quindi, passando ad apparizione mattutina (*)quando Venere ricomincia a versi al mattino, prima dell'alba, la vedremo pur falcata e sottilissima, e con le corna averse al sole; anderà poi crescendo sino alla massima digressione, dove sarà semicircolare, e tale, senza alterarsi, si manterrà molti giorni; e poi dal mezo cerchio passerà presto al tutto tondo, e così rotonda si conserverà poi per molti mesi.

Ma è il suo diametro adesso circa cinque volte maggiore di quello che si mostrava nella sua prima apparizione vespertina: dalla quale mirabile esperienza aviamo sensata e certa dimostrazione di due gran questioni, state sin qui dubbie tra' maggiori ingegni del mondo.

L'una è, che i pianeti tutti sono di loro natura tenebrosi (*)privi di luce propria (accadendo anco a Mercurio l'istesso che a Venere): l'altra, che Venere necessariissimamente si volge intorno al sole (*)indubitabilmente ruota attorno al Sole, come anco Mercurio e tutti li altri pianeti, cosa ben creduta da i Pittagorici, Copernico, Keplero e me, ma non sensatamente provata, come ora in Venere e in Mercurio.

Averanno dunque il Sig. Keplero e gli altri Copernicani da gloriarsi di avere creduto e filosofato bene, se bene ci è toccato, e ci è per toccare ancora, ad esser reputati dall'universalità de i filosofi "in libris" (*)dalla totalità degli scienziati libreschi per poco intendenti e poco meno che stolti.

Le parole dunque che mandai trasposte, e che dicevano

"Haec immatura a me iam frustra leguntur (*)invano medito su queste osservazioni premature o y"

ordinate

"Cynthiae figuras aemulatur mater amorum (*)la madre degli amori (Venere) imita le sembianze di Cinzia (altro nome di Diana/Artemide identificata con la Luna)"

ciò è che Venere imita le figure della luna.

Osservai 3 notti sono l'eclisse, nella quale non vi è cosa notabile: solo si vede il taglio dell'ombra indistinto, confuso e come annebiato, e questo per derivare essa ombra da la terra, lontanissimamente da essa Luna.

Voleva scrivere altri particolari; ma sendo stato trattenuto molto da alcuni gentiluomini, e essendo l'ora tardissima, son forzato a finire. Favoriscami salutare in mio nome i signori Keplero, Asdale(*)Martin Hastal, corrispondente a Praga di Galileo e Segheti (*)Thomas Segget, corrispondente a Praga di Galileo; e a V. S. Ill.ma con ogni reverenza bacio le mani, e dal S. Dio gli prego felicità.

Di Firenze, il primo di Gennaio, anno 1611.

Di V. S. Ill.ma et Rev.ma
Ser.re Oblig.mo
Galileo Galilei.

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