Onde e musica


Galileo era figlio di Vincenzo, uno dei più famosi musicisti del suo tempo, le cui composizioni sono ancor oggi eseguite dai complessi specializzati in musica rinascimentale.
Sicuramente ebbe dal padre un'istruzione musicale approfondita. Questa istruzione emerge chiaramente nel seguente brano e, integrata con le sue scoperte sul moto dei pendoli, costituisce la base per un'analisi dei fenomeni acustici e della loro rilevanza estetica ancora di estrema attualità ai giorni nostri.


Sal. Vengo ora a gli altri quesiti, attenenti a i pendoli, materia che a molti parrebbe assai arida, e massime a quei filosofi che stanno continuamente occupati nelle più profonde quistioni delle cose naturali; tuttavia non gli voglio disprezzare, inanimito dall'esempio d'Aristotele medesimo, nel quale io ammiro sopra tutte le cose il non aver egli lasciato, si può dir, materia alcuna, degna in qualche modo di considerazione, che e' non l'abbia toccata.
Ed ora, mosso da i quesiti di Vossignoria, penso che potrò dirvi qualche mio pensiero sopra alcuni problemi attenenti alla musica, materia nobilissima, della quale hanno scritto tanti grand'uommi e l'istesso Aristotele, e circa di essa considera molti problemi curiosi; talché se io ancora da così facili e sensate esperienze trarrò ragioni di accidenti maravigliosi in materia de i suoni, posso sperare che i miei ragionamenti siano per esser graditi da voi.

Sagr. Non solamente graditi, ma da me in particolare sommamente desiderati, come quello che, sendomi dilettato di tutti gli strumenti musici, ed assai filosofato intorno alle consonanze(*)gli accordi musicali, son sempre restato incapace e perplesso onde avvenga che più mi piaccia e diletti questa che quella (*)non sono mai riuscito a capire perché un accordo mi piaccia più di un altro, e che alcuna non solo non mi diletti, ma sommamente m'offenda(*)alcuni, non solo non mi piacciono, ma li trovo molto fastidiosi.
Il problema poi trito delle due corde tese all'unisono(*)accordate sulla stessa nota, che al suono dell'una l'altra si muova e attualmente risuoni, mi resta ancora irresoluto, come anco non ben chiare le forme delle consonanze ed altre particolarità.

Sal. Vedremo se da questi nostri pendoli si possa cavare qualche sodisfazione a tutte queste difficoltà. E quanto al primo dubbio, che è, se veramente e puntualissimamente(*)esattamente l'istesso pendolo fa tutte le sue vibrazioni(*)oscillazioni, massime, mediocri e minime, sotto tempi precisamente eguali, io mi rimetto a quello che intesi già dal nostro Accademico(*)Galileo; il quale dimostra bene, che 'l mobile che descendesse per le corde suttese a qualsivoglia arco, le passerebbe necessariamente tutte in tempi eguali(*)questo è vero solo approssimativamente, tanto la suttesa sotto cent'ottanta gradi (cioè tutto il diametro), quanto le suttese di cento, di sessanta, di dieci, di due, di mezzo e di quattro minuti, intendendo che tutte vadano a terminar nell'infimo punto, toccante il piano orizontale.
Circa poi i descendenti per gli archi delle medesime corde elevati sopra l'orizonte, e che non siano maggiori d'una quarta, cioè di novanta gradi, mostra parimente l'esperienza, passarsi tutti in tempi eguali, ma però più brevi de i tempi de' passaggi per le corde(*)questo è esattamente vero per gli archi di brachistocrona, non per gli archi di circonferenza; effetto che in tanto ha del maraviglioso, in quanto nella prima apprensione par che dovrebbe seguire il contrario: imperò che, sendo comuni i termini del principio e del fine del moto, ed essendo la linea retta la brevissima che tra i medesimi termini si comprende, par ragionevole che il moto fatto per lei s'avesse a spedire nel più breve tempo; il che poi non è, ma il tempo brevissimo, ed in consequenza il moto velocissimo, è quello che si fa per l'arco del quale essa linea retta è corda.
Quanto poi alla proporzione de i tempi delle vibrazioni(*)oscillazioni di mobili pendenti da fila di differente lunghezza(*)pendoli di diversa lunghezza, sono essi tempi in proporzione suddupla delle lunghezze delle fila (*)i periodi di ooscillazione sono proporzionali alla radice quadrata della lunghezza del filo, o vogliam dire le lunghezze esser in duplicata proporzion de i tempi, cioè son come i quadrati de i tempi: sì che volendo, verbigrazia, che 'l tempo d'una vibrazione d'un pendolo sia doppio del tempo d'una vibrazione d'un altro, bisogna che la lunghezza della corda di quello sia quadrupla della lunghezza della corda di questo; ed allora, nel tempo d'una vibrazione di quello, un altro ne farà tré, quando la corda di quello sarà nove volte più lunga dell'altra: dal che ne seguita che le lunghezze delle corde hanno fra di loro la proporzione che hanno i quadrati de' numeri delle vibrazioni che si fanno nel medesimo tempo.

Sagr. Adunque, se io ho ben inteso, potrò speditamente sapere la lunghezza d'una corda pendente da qualsivoglia grandissima altezza, quando bene il termine sublime dell'attaccatura mi fusse invisibile e solo si vedesse l'altro estremo basso(*)potrò calcolare velocemente la lunghezza di una corda pendente dall'alto anche se non vedo il punto al quale è attaccata e vedo solo l'altro estremo.
Imperò che, se io attaccherò qui da basso un assai grave peso a detta corda e farò che si vada vibrando in qua e in là, e che un amico vadia numerando alcune delle sue vibrazioni e che io nell'istesso tempo vadia parimente contando le vibrazioni che farà un altro mobile appeso a un filo di lunghezza precisamente d'un braccio, da i numeri delle vibrazioni di questi pendoli, fatte nell'istesso tempo, troverò la lunghezza della corda: come, per esempio, ponghiamo che nel tempo che l'amico mio abbia contate venti vibrazioni della corda lunga, io ne abbia contate dugenquaranta del mio filo, che è lungo un braccio; fatti i quadrati delli due numeri venti e dugenquaranta, che sono 400 e 57600, dirò, la lunga corda contener 57600 misure di quelle che il mio filo ne contien 400; e perché il filo è un sol braccio, partirò 57600 per 400, che ne viene 144; e 144 braccia dirò esser lunga quella corda.

Sal. Ne vi ingannerete d'un palmo, e massime se piglierete moltitudini grandi di vibrazioni.

Sagr. Vossignoria mi da pur frequentemente occasione d'ammirare la ricchezza ed insieme la somma liberalità della natura, mentre da cose tanto comuni, e direi anco in certo modo vili, ne andate traendo notizie molto curiose e nuove, e bene spesso remote da ogni immaginazione. Io ho ben mille volte posto cura alle vibrazioni, in particolare, delle lampade pendenti in alcune chiese da lunghissime corde, inavvertentemente state mosse da alcuno; ma il più che io cavassi da tale osservazione, fu l'improbabilità dell'opinione di quelli che vogliono che simili moti vengano mantenuti e continuati dal mezzo, cioè dall'aria (*)pensano che le oscillazioni dei pendoli siano prodotte da spinte dell'aria cirsostante, perché mi parrebbe bene che l'aria avesse un gran giudizio, ed insieme una poca faccenda, a consumar le ore e le ore di tempo in sospignere con tanta regola in qua e in là un peso pendente: ma che io fussi per apprenderne che quel mobile medesimo, appeso a una corda di cento braccia di lunghezza, slontanato dall'imo punto una volta novanta gradi ed un'altra un grado solo o mezzo, tanto tempo spendesse in passar questo minimo, quanto in passar quel massimo arco, certo non credo che mai l'avrei incontrato(*)non sarei mai riuscito a scoprire l'isocronismo del pendolo, che ancor ancora mi par che tenga dell'impossibile.
Ora sto aspettando di sentire che queste medesime semplicissime minuzie mi assegnino ragioni tali di quei problemi musici(*)queste semplici osservazioni mi aiutino a comprendere il funzionamento degli strumenti musicali, che mi possine, almeno in parte, quietar la mente.

Sal. Prima d'ogni altra cosa bisogna avvertire che ciaschedun pendolo ha il tempo delle sue vibrazioni talmente limitato e prefisso, che impossibil cosa è il farlo muover sotto altro periodo che l'unico suo naturale(*)il periodo del pendolo è prefissato dalla sua lunghezza. Prenda pur chi si voglia in mano la corda ond'è attaccato il peso, e tenti quanto gli piace d'accrescergli o scemargli la frequenza delle sue vibrazioni; sarà fatica buttata in vano: ma ben all'incontro ad un pendolo, ancor che grave e posto in quiete, col solo soffiarvi dentro conferiremo noi moto, e moto anche assai grande col reiterare i soffi, ma sotto 'l tempo che è proprio quel delle sue vibrazioni; che se al primo soffio l'aremo rimosso dal perpendicolo mezzo dito, aggiugnendogli il secondo dopo che, sendo ritornato verso noi, comincerebbe la seconda vibrazione, gli conferiremo nuovo moto, e così successivamente con altri soffi, ma dati a tempo(*)l'intervallo tra un soffio e il successivo deve coincidere con il periodo di oscillazione del pendolo, e non quando il pendolo ci vien incontro (che così gì'impediremmo, e non aiuteremmo, il moto); e seguendo, con molti impulsi gli conferiremo impeto tale, che maggior forza assai che quella d'un soffio ci bisognerà a cessarlo(*) sarà necessaria una forza molto maggiore di quella di un soffio per poterlo fermare.

Sagr. Ho da fanciullo osservato, con questi impulsi dati a tempo un uomo solo far sonare una grossissima campana, e nel volerla poi fermare, attaccarsi alla corda quattro e sei altri e tutti esser levati in alto, ne poter tanti insieme arrestar quell'impeto che un solo con regolati tratti gli aveva conferito.

Sal. Esempio che dichiara 'l mio intento non meno acconciamente di quel che questa mia premessa si accomodi a render la ragione del maraviglioso problema della corda della cetera o del cimbalo, che muove e fa realmente sonare quella non solo che all'unisono gli è concorde, ma anco all'ottava e alla quinta (*)il meraviglioso fenomeno per cui una corda di cetra o clavicembalo fa risuonare non solo le corde accordate sulla stessa nota ma anche quelle accordate all'ottava o alla quinta: ad esempio, se si pizzica un DO, risuonano sia il DO successivo e il SOL successivo. Toccata, la corda comincia e continua le sue vibrazioni per tutto 'l tempo che si sente durar la sua risonanza: queste vibrazioni fanno vibrare e tremare l'aria che gli è appresso (*)producono onde sonore nell'aria circostante, i cui tremori e increspamenti si distendono per grande spazio e vanno a urtare in tutte le corde del medesimo strumento, ed anco di altri vicini (*)le onde sonore colpiscono le altre corde dello stesso strumento e anche quelle degli strumenti vicini: la corda che è tesa all'unisono con la tocca(*)quella pizzicata, essendo disposta a far le sue vibrazioni sotto 'l medesimo tempo, comincia al primo impulso a muoversi un poco; e sopraggiugnendogli il secondo, il terzo, il ventesimo e più altri, e tutti ne gli aggiustati e periodici tempi, riceve finalmente il medesimo tremore che la prima tocca, e si vede chiarissimamente andar dilatando le sue vibrazioni giusto allo spazio della sua motrice (*)riceve la stessa oscillazione di quella toccata e si osserva che l'ampiezza delle sue oscillazione va allargandosi fino ad essere uguale a quella della corda toccata.
Quest'ondeggiamento che si va distendendo per l'aria(*)L'onda sonora che si propaga nell'aria, muove e fa vibrare non solamente le corde, ma qualsivoglia altro corpo disposto a tremare e vibrarsi sotto quel tempo della tremante corda(*)con lo stesso periodo della corda sorgente del suono; sì che se si ficcheranno nelle sponde dello strumento diversi pozzetti di setole o di altre materie flessibili, si vedrà, nel sonare il cimbalo, tremare or questo or quel corpuscolo, secondo che verrà toccata quella corda le cui vibrazioni van sotto 'l medesimo tempo: gli altri non si muoveranno al suono di questa corda, ne quello tremerà al suono d'altra corda.
Se con l'archetto si toccherà gagliardamente una corda grossa d'una viola, appressandogli un bicchiere di vetro sottile e pulito, quando il tuono della corda sia all'unisono del tuono del bicchiere(*)la nota emessa dalla corda coincide con la nota che sarebbe emessa dal bicchiere, questo tremerà e sensatamente risonerà.
Il diffondersi poi ampiamente l'increspamento del mezzo intorno al corpo risonante(*)La propagazione dell'onda sonora nel mezzo attorno alla sorgente del suono, apertamente si vede nel far sonare il bicchiere, dentro 'l quale sia dell'acqua, fregando il polpastrello del dito sopra l'orlo; imperò che l'acqua contenuta con regolatissimo ordine si vede andar ondeggiando: e meglio ancora si vedrà l'istesso effetto fermando il piede del bicchiere nel fondo di qualche vaso assai largo, nel quale sia dell'acqua sin presso all'orlo del bicchiere; che parimente, facendolo risonare con la confricazione (*)sfregamento del dito, si vedranno gl'increspamenti nell'acqua regolatissimi, e con gran velocità spargersi in gran distanza intorno al bicchiere: ed io più volte mi sono incontrato, nel fare al modo detto sonare un bicchiere assai grande e quasi pieno d'acqua, a veder prima le onde nell'acqua con estrema egualità formate, ed accadendo tal volta che 'l tuono del bicchiere salti un'ottava più alto (*)la nota emessa dal bicchiere salti all'ottava successiva, nell'istesso momento ho visto ciascheduna delle dette onde dividersi in due; accidente che molto chiaramente conclude, la forma dell'ottava esser la dupla (*)la lunghezza delle onde si dimezzava, cosa che dimostra che la frequenza dell'ottava è doppia.

Sagr. A me ancora è intervenuto l'istesso più d'una volta con mio diletto ed anco utile; imperò che stetti lungo tempo perplesso intorno a queste forme delle consonanze, non mi parendo che la ragione che comunemente se n'adduce da gli autori che sin qui hanno scritto dottamente della musica, fusse concludente a bastanza (*)perché le spiegazioni proposte dai teorici della musica non mi hanno mai pienamente convinto.
Dicono essi, la diapason, cioè l'ottava, esser contenuta dalla dupla(*)l'ottava si ottiene dimezzando la lunghezza della corda, la diapente, che noi diciamo la quinta(*)ad esempio, nella scala di DO maggiore, il SOL, dalla sesquialtera (*)da 2/3 della lunghezza, etc.; perché, distesa sopra il monocordo una corda, sonandola tutta e poi sonandone la metà, col mettere un ponticello in mezzo, si sente l'ottava, e se il ponticello si metterà al terzo di tutta la corda, toccando l'intera e poi li due terzi, ci rende la quinta; per lo che l'ottava dicono esser contenuta tra 'l due e l'uno, e la quinta tra il tré e 'l dua.
Questa ragione, dico, non mi pareva concludente per poter assegnar iuridicamente la dupla e la sesquialtera per forme naturali della diapason e della diapente (*)assumere teoricamente che la lunghezza doppia o quella di 2/3 sono l'espressione naturale dell'ottava e della quinta : e 'l mio motivo era tale.
Tré sono le maniere con le quali noi possiamo inacutire il tuono a una corda (*)Ci sono tre modi per rendere più acuta la nota emessa da una corda: l'una è lo scorciarla(*)l'accorciarla; l'altra, il tenderla più, o vogliam dir tirarla; il terzo è l'assottigliarla.
Ritenendo la medesima tiratezza(*)tensione e grossezza della corda, se vorremo sentir l'ottava, bisogna scorciarla la metà, cioè toccarla tutta, e poi mezza: ma se, ritenendo la medesima lunghezza e grossezza, vorremo farla montare all'ottava col tirarla più, non basta tirarla il doppio più, ma ci bisogna il quadruplo(*)la frequenza è proporzionale alla radice quadrata della tensione, sì che se prima era tirata dal peso d'una libbra, converrà attaccarvene quattro per inacutirla all'ottava: e finalmente se, stante la medesima lunghezza e tiratezza, vorremo una corda che, per esser più sottile, renda l'ottava, sarà necessario che ritenga solo la quarta parte della grossezza dell'altra più grave(*)la frequenza è inversamente proporzionale alla radice quadrata della densità lineare della corda.
E questo che dico dell'ottava, cioè che la sua forma presa dalla tensione o dalla grossezza della corda è in duplicata proporzione di quella che si ha dalla lunghezza, intendasi di tutti gli altri intervalli musici(*)le leggi che ho trovato per l'ottava valgono per tutti gli altri intervalli: imperò che quello che ci da la lunghezza con la proporzion sesquialtera, cioè col sonarla tutta e poi li due terzi, volendolo cavar dalla tiratezza o dalla sottigliezza, bisogna duplicar la proporzione sesquialtera, pigliando la dupla sesquiquarta, e se la corda grave era tesa da quattro libbre di peso, attaccarne all'acuta non sei, ma nove, e quanto alla grossezza, far la corda grave più grossa dell'acuta secondo la proporzione di nove a quattro, per aver la quinta.
Stante queste verissime esperienze, non mi pareva scorger ragione alcuna per la quale avesser i sagaci filosofi a stabilir, la forma dell'ottava esser più la dupla che la quadrupla, e della quinta più la sesquialtera che la dupla sesquiquarta.
Ma perché il numerar le vibrazioni d'una corda, che nel render la voce le fa frequentissime, è del tutto impossibile (*)Ma poiché è del tutto impossibile contare le vibrazioni di una corda che, quando emette una nota, sono velocissime, sarei restato sempre ambiguo se vero fusse che la corda dell'ottava, più acuta, facesse nel medesimo tempo doppio numero di vibrazioni di quelle della più grave (*)mi sarebbe rimasto sempre il dubbio sul fatto che la frequenza dell'ottava sia doppia di quella della corrispondente nota più grave, se le onde permanenti per quanto tempo ci piace, nel far sonare e vibrare il bicchiere, non m'avessero sensatamente mostrato come nell'istesso momento che alcuna volta si sente il tuono saltare all'ottava, si veggono nascere altre onde più minute, le quali con infinita pulitezza tagliano in mezzo ciascuna di quelle prime.

Sal. Bellissima osservazione per poter distinguer ad una ad una le onde nate dal tremore del corpo che risuona, che son poi quelle che, diffuse per l'aria, vanno a far la titillazione su 'l timpano del nostro orecchio, la quale nell'anima ci doventa suono (*)le onde sonore prodotte dalle vibrazioni del corpe che le emette, propagandosi per l'aria, eccitano il timpano del nostro orecchio e che il nostro cervello rappresenta come suono.
Ma dove che il vederle ed osservarle nell'acqua non dura se non quanto si continua la confricazion del dito, ed anco in questo tempo non sono permanenti, ma continuamente si fanno e si dissolvono (*)poiché il vederle ed osservarle nell'acqua dura soltanto finché si continua a sfregare l'orlo del bicchiere con il dito e, anche in questo caso, non durano molto e si fanno e si disfano, non sarebbe bella cosa quando se ne potesse far con grand'esquisitezza di quelle che restassero lungo tempo, dico mesi ed anni, sì che desser commodità di poterle misurare ed agiatamente numerare (*)riuscire a farne facilmente di durevoli, anche per mesi o anni, per poterle facilmente misurare e contare?

Sagr. Veramente io stimerei sommamente una tale invenzione.

Sal. L'invenzione fu del caso, e mia fu solamente l'osservazione e 'l far di essa capitale e stima come di riprova di nobil contemplazione, ancor che fattura in se stessa assai vile (*)Ho scoperto il metodo per caso e sono stato l'unico a considerare importante e degno di considerazione un fenomeno che potrebbe sembrare banale.
Raschiando con uno scarpello(*)scalpello di ferro tagliente una piastra d'ottone per levarle alcune macchie, nel muovervi sopra lo scarpello con velocità, sentii una volta e due, tra molte strisciate, fischiare e uscirne un sibilo molto gagliardo e chiaro; e guardando sopra la piastra, veddi un lungo ordine di virgolette sottili, tra di loro parallele e per egualissimi intervalli l'una dall'altra distanti (*)vidi formarsi molte file di sottili schegge, tra loro parallele ed equidistanti.
Tornando a raschiar di nuovo più e più volte, m'accorsi che solamente nelle raschiate che fischiavano lasciava lo scarpello le 'ntaccature sopra la piastra; ma quando la strisciata passava senza sibilo, non restava pur minima ombra di tali virgolette.
Replicando poi altre volte lo scherzo(*)la raschiatura, strisciando ora con maggiore ed ora con minor velocità, il sibilo riusciva di tuono(*)tono or più acuto ed or più grave; ed osservai, i segni fatti nel suono più acuto esser più spessi, e quelli del più grave più radi, e tal volta //ancora, secondo che la strisciata medesima era fatta verso 'l fine con maggior velocità che nel principio, si sentiva il suono andarsi inacutendo, e le virgolette si vedeva esser andate inspessendosi, ma sempre con estrema lindura e con assoluta equidistanza segnate; ed oltre a ciò, nelle strisciate sibilanti sentivo tremarmi il ferro in pugno, e per la mano scorrermi certo rigore: ed in somma si vede e sente fare al ferro quello per appunto che facciamo noi nel parlar sotto voce e nell'intonar poi il suono gagliardo, che, mandando fuora il fiato senza formare il suono, non sentiamo nella gola e nella bocca farsi movimento alcuno, rispetto però ed in comparazione del tremor grande che sentiamo farsi nella laringe ed in tutte le fauci nel mandar fuora la voce, e massime in tuono grave e gagliardo.
Ho anco tal volta tra le corde del cimbalo notatene due unisone alii due sibili fatti strisciando al modo detto (*)qualche volta notato che due corde del clavicembalo vibravano all'unisono con i sibili prodotti dalla strisciata, e de i più differenti di tuono(*)altre vibranti con suoni diversi, de i quali due precisamente distavano per una quinta perfetta; e misurando poi gl'intervalli delle virgolette dell'una e dell'altra strisciata, si vedeva, la distanza che conteneva quarantacinque spazii dell'una, contenere trenta dell'altra(*)i rapporti tra le distanze erano di 3/2, quale veramente è la forma che si attribuisce alla diapente.
Ma qui, prima che passare più avanti(*)prima di proseguire, voglio avvertirvi, che delle tré maniere d'inacutire il suono, quella che voi referite alla sottigliezza della corda, con più verità deve attribuirsi al peso (*)non è tanto importante la sottigliezza della corda, ma la sua densità lineare.
Imperò che l'alterazione presa dalla grossezza risponde quando le corde siano della medesima materia: e così una minugia (*)corda di strumento musicale fatta con budello animale per far l'ottava deve esser più grossa quattro volte dell'altra pur di minugia; ed una d'ottone, più grossa quattro volte d'un'altra d'ottone: ma s'io vorrò far l'ottava con una d'ottone ed una di minugia, non si ha da ingrossar quattro volte, ma sì ben farla quattro volte più grave; sì che, quanto alla grossezza, questa di metallo non sarà altrimente quattro volte più grossa, ma ben quadrupla in gravita, che tal volta sarà più sottile che la sua rispondente all'ottava, più acuta, che sia di minugia: onde accade che incordandosi un cimbalo di corde d'oro ed un altro d'ottone, se saranno della medesima lunghezza, grossezza e tensione, per esser l'oro quasi il doppio più grave, riuscirà l'accordatura circa una quinta più grave. E qui notisi come alla velocità del moto più resiste la gravita del mobile che la grossezza, contro a quello che a prima fronte altri giudicherebbe; che ben pare che, ragionevolmente, più dovesse esser ritardata la velocità dalla resistenza del mezzo all'esser aperto in un mobile grosso e leggiero, che in uno grave e sottile; tuttavia in questo caso accade tutto l'opposito.
Ma seguitando il primo proposito, dico che non è la ragion prossima ed immediata delle forme de gl'intervalli musici la lunghezza delle corde, non la tensione, non la grossezza, ma sì bene la proporzione de i numeri delle vibrazioni e percosse dell'onde dell'aria (*)bensì i rapporti tra le frequenze delle onde che vanno a ferire il timpano del nostro orecchio, il quale esso ancora sotto le medesime misure di tempi vien fatto tremare. Fermato questo punto(*)Stabilito questo fatto, potremo per avventura assegnar assai congrua ragione onde avvenga che di essi suoni, differenti di tuono, alcune coppie siano con gran diletto ricevute dal nostro sensorio, altre con minore, ed altre ci feriscano con grandissima molestia; che è il recar la ragione delle consonanze più o men perfette e delle dissonanze (*)ragionevolmente spiegare perché alcune coppie di note diverse sono più o meno gradevoli alla nostra ricezione e altre del tutto sgradevoli, cioè spiegare accordi più o meno perfetti e dissonanze.
La molestia di queste(*)Il fastidio prodotto dalle dissonanze nascerà, credo io, dalle discordi pulsazioni di due diversi tuoni che sproporzionatamente colpeggiano sopra 'l nostro timpano, e crudissime saranno le dissonanze quando i tempi delle vibrazioni fussero incommensurabili (*)se le frequenza non sono nella giusta proporzione l'accordo risulta sgradevole e sgradevole al massimo quando le frequenze sono incommesurabili (cioè espresse da un numero irrazionale); per una delle quali sarà quella quando di due corde unisone se ne suoni una con tal parte dell'altra quale è il lato del quadrato del suo diametro: dissonanza simile al tritono o semidiapente(*)il tritono, cioè un intervallo di tre toni, è l'intervallo di quinta diminuita (o semidiapente) ed è fortemente dissonante; tanto da esse denominato diabolus in musica.
Consonanti, e con diletto ricevute, saranno quelle coppie di suoni che verranno a percuotere con qualche ordine sopra 'l timpano; il qual ordine ricerca, prima, che le percosse fatte dentro all'istesso tempo siano commensurabili di numero, acciò che la cartilagine del timpano non abbia a star in un perpetuo tormento d'inflettersi in due diverse maniere per acconsentire ed ubbidire alle sempre discordi battiture: sarà dunque la prima e più grata consonanza l'ottava, essendo che per ogni percossa che dia la corda grave su 'l timpano, l'acuta ne da due, tal che amendue vanno a ferire unitamente in una sì, e nell'altra no, delle vibrazioni della corda acuta, sì che di tutto 'l numero delle percosse la metà s'accordano a battere unitamente; ma i colpi delle corde unisone giungon sempre tutti insieme, e però son come d'una corda sola, ne fanno consonanza. La quinta diletta ancora, atteso che per ogni due pulsazioni della corda grave l'acuta ne da tré, da che ne seguita che, numerando le vibrazioni della corda acuta, la terza parte di tutte s'accordano a battere insieme, cioè due solitàrie s'interpongono tra ogni coppia delle concordi; e nella diatesseron(*) intervallo di quarta (es. DO-FA) se n'interpongon tré.
Nella seconda, cioè nel tuono sesquiottavo(*)9/8, per ogni nove pulsazioni una sola arriva concordemente a percuotere con l'altra della corda più grave; tutte l'altre sono discordi e con molestia ricevute su 'l timpano, e giudicate dissonanti dall'udito.

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