Galileo matematico


Galileo non fu solo fisico e astronomo, ma anche un valente matematico, come dimostra l'analisi qui riportata di uno dei problemi più dibattuti nella matematica di tutti i tempi, quello dell'infinito, che troverà una prima sistemazione solo con l'opera di Georg Cantor (1849-1918).

Qui sono notevolissime, rispetto ai tempi, le seguenti acquisizioni:

L'analisi di Galileo non può prescindere da considerazioni sugli indivisibili, cioè le grandezze infinitesime fondamentali nel calcolo infinitesimale, ripresi dal suo discepolo B. Cavalieri, fino ai risultati ottenuti solo dopo un secolo da Newton e da Leibniz.


Sal. L'infinito è per sé solo da noi incomprensibile, come anco gl'indivisibili; or pensate quel che saranno congiunti insieme: e pur se vogliamo compor la linea di punti indivisibili(*)se vogliamo concepire un segmento come composto da punti indivisibili, bisogna fargli infiniti; e così conviene apprender nel medesimo tempo l'infinito e l'indivisibile.
Le cose che in più volte mi son passate per la mente in tal proposito, son molte, parte delle quali, e forse le più considerabili, potrebb'esser che, così improvisamente, non mi sovvenissero(*)sono molte e potrà succedere che sul momento non me le ricordi tutte, anche le più importanti; ma nel progresso del ragionamento potrà accadere che, destando io a voi, ed in particolare al signor Simplicio, obiezzioni e difficoltà, essi all'incontro mi facessero ricordar di quello che senza tale eccitamento restasse dormendo nella fantasia: e però con la solita libertà sia lecito produrre in mezzo i nostri umani capricci(*)esporre nel corso della conversazione le nostre fantasie umane, che tali meritamente possiamo nominargli in comparazione delle dottrine sopranaturali, sole vere e sicure determinatrici delle nostre controversie, e scorte inerranti ne i nostri oscuri e dubbii sentieri o più tosto labirinti.
Tra le prime instanze che si sogliono produrre contro a quelli che compongono il continuo d'indivisibili, suol esser quella che uno indivisibile aggiunto a un altro indivisibile non produce cosa divisibile(*)Tra le prime obiezioni che si oppongono a coloro che sostengono che il continuo è formato da indivisibili c'è quella che un indivisibile accostato ad un altro indivisibile non può generare un ente divisibile, come, ad esempio, un segmento, perché, se ciò fusse, ne seguirebbe che anco l'indivisibile fusse divisibile; perché quando due indivisibili, come, per esempio, due punti, congiunti facessero una quantità, qual sarebbe una linea divisibile, molto più sarebbe tale una composta di tré, di cinque, di sette e di altre moltitudini dispari; le quali linee essendo poi segabili in due parti eguali, rendon segabile quell'indivisibile che nel mezzo era collocato.
In questa ed altre obbiezzioni di questo genere si da sodisfazione alla parte con dirgli, che non solamente due indivisibili, ma ne dieci, ne cento, ne mille non compongono una grandezza divisibile e quanta, ma sì bene infiniti(*)rispondiamo all'obiezione che un numero finito di indivisibili non può comporre una grandezza divisibile e misurabile ma ne occorrono infiniti.

Simpl. Qui nasce subito il dubbio, che mi pare insolubile: ed è, che sendo noi sicuri trovarsi linee una maggior dell'altra, tutta volta che amendue contenghino punti infiniti, bisogna confessare trovarsi nel medesimo genere una cosa maggior dell'infinito, perché la infinità de i punti della linea maggiore eccederà l'infinità de i punti della minore (*)se consideriamo due segmenti, uno maggiore dell'altro, se ammettiamo che entrambi sono formati da infiniti punti, dovremo ammettere l'esistenza di qualcosa maggiore dell'infinito, perché l'infinito del segmento maggiore sarà maggiore dell'infinito del segmento minore.
Ora questo darsi un infinito maggior dell'infinito mi par concetto da non poter esser capito in verun modo.

Sal. Queste son di quelle difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno a gl'infiniti, dandogli quelli attributi che noi diamo alle cose finite e terminate (*)Queste sono difficoltà che nascono dall'attribuire agli infiniti le stesse proprietà che attribuiamo alle grandezze finite; il che penso che sia inconveniente, perché stimo che questi attributi di maggioranza, minorità ed egualità non convenghino a gl'infiniti, de i quali non si può dire, uno esser maggiore o minore o eguale all'altro.
Per prova di che già mi sovvenne un sì fatto discorso, il quale per più chiara esplicazione proporrò per interrogazioni al signor Simplicio (*)A dimostrazione di ciò m'è venuto in mente il seguente ragionamento che, per spiegarlo meglio, proporrò con domande al signor Simplicio, che ha mossa la difficoltà.
Io suppongo che voi benissimo sappiate quali sono i numeri quadrati, e quali i non quadrati.

Simpl. So benissimo che il numero quadrato è quello che nasce dalla moltiplicazione d'un altro numero in se medesimo (*)per se stesso: e così il quattro, il nove, etc., son numeri quadrati, nascendo quello dal dua, e questo dal tré, in se medesimi moltiplicati.

Sal. Benissimo: e sapete ancora, che sì come i prodotti si dimandano(*)si dicono quadrati, i producenti(*)i fattori, cioè quelli che si multiplicano, si chiamano lati o radici; gli altri poi, che non nascono da numeri multiplicati in se stessi, non sono altrimenti quadrati.
Onde se io dirò, i numeri tutti, comprendendo i quadrati e i non quadrati, esser più che i quadrati soli (*)l'insieme di tutti i numeri naturali, quadrati e non quadrati, ha più elementi dell'insieme dei soli quadrati, dirò proposizione verissima: non è così?

Simpl. Non si può dir altrimenti.

Sal. Interrogando io dipoi, quanti siano i numeri quadrati, si può con verità rispondere, loro esser tanti quante sono le proprie radici (*)Se io poi chiedo quanti siano i quadrati, si può logicamente rispondere che sono tanti quante le loro radici, avvenga che(*)dato che ogni quadrato ha la sua radice, ogni radice il suo quadrato, ne quadrato alcuno ha più d'una sola radice, ne radice alcuna più d'un quadrato solo.

Simpl. Così sta.

Sal. Ma se io domanderò, quante siano le radici, non si può negare che elle non siano quante tutti i numeri (*)Ma se ora io chiedo quanti elementi abbia l'insieme delle radici, bisogna ammettere che ne ha tanti quanti l'insieme di tutti i numeri, poiché non vi è numero alcuno che non sia radice di qualche quadrato; e stante questo, converrà dire che i numeri quadrati siano quanti tutti i numeri (*)perciò bisognerà ammettere che il numero di elementi dell'insieme dei quadrati è uguale al numero di elementi dell'insieme di tutti i numeri, poiché tanti sono quante le lor radici, e radici son tutti i numeri; e pur da principio dicemmo, tutti i numeri esser assai più che tutti i quadrati, essendo la maggior parte non quadrati.
E pur tuttavia si va la moltitudine de i quadrati sempre con maggior proporzione diminuendo, quanto a maggior numeri si trapassa (*)(fino a che si considerano insiemi finiti di numeri) la percentuale dei quadrati va diminuendo man mano che si aumenta il numero massimo considerato; perché sino a cento vi sono dieci quadrati, che è quanto a dire la decima parte esser quadrati; in dieci mila solo la centesima parte son quadrati, in un millione solo la millesima: e pur nel numero infinito, se concepir lo potessimo, bisognerebbe dire, tanti essere i quadrati quanti tutti i numeri insieme (*)eppure, se consideriamo l'insieme infinito di tutti i numeri, se possiamo concepirlo, dobbiamo ammettere che il numero di elementi dell'insieme dei quadrati è uguale al numero di elementi dell'insieme di tutti i numeri.

Sagr. Che dunque si ha da determinare in questa occasione?

Sal. Io non veggo che ad altra decisione si possa venire, che a dire, infiniti essere tutti i numeri, infiniti i quadrati, infinite le loro radici, ne la moltitudine de' quadrati esser minore di quella di tutti i numeri, ne questa maggior di quella, ed in ultima conclusione, gli attributi di eguale maggiore e minore non aver luogo ne gl'infiniti, ma solo nelle quantità terminate (*)non si possono applicare agli insiemi infiniti, ma solo agli insiemi finiti.
E però quando il signor Simplicio mi propone più linee diseguali(*)segmenti diversi, e mi domanda come possa essere che nelle maggiori non siano più punti che nelle minori, io gli rispondo che non ve ne sono ne più ne manco ne altrettanti, ma in ciascheduna infiniti: o veramente se io gli rispondessi, i punti nell'una esser quanti sono i numeri quadrati, in un'altra maggiore quanti tutti i numeri, in quella piccolina quanti sono i numeri cubi, non potrei io avergli dato sodisfazione col porne più in una che nell'altra, e pure in ciascheduna infiniti?
E questo è quanto alla prima difficoltà.

Sagr. Fermate in grazia, e concedetemi che io aggiunga al detto sin qui un pensiero, che pur ora mi giugne: e questo è, che, stanti le cose dette sin qui, parmi che non solamente non si possa dire, un infinito esser maggiore d'un altro infinito, ma ne anco che e' sia maggior d'un finito, perché se 'l numero infinito fusse maggiore, verbigrazia, del millione, ne seguirebbe, che passando dal millione ad altri e ad altri continuamente maggiori, si camminasse verso l'infinito; il che non è: anzi, per l'opposito, a quanto maggiori numeri facciamo passaggio, tanto più ci discostiamo dal numero infinito; perché ne i numeri, quanto più si pigliano grandi, sempre più e più rari sono i numeri quadrati in essi contenuti; ma nel numero infinito i quadrati non possono esser manco che tutti i numeri, come pur ora si è concluso; adunque l'andar verso numeri sempre maggiori e maggiori è un discostarsi dal numero infinito.

Sal. E così dal vostro ingegnoso discorso si conclude, gli attributi di maggiore minore o eguale non aver luogo non solamente tra gl'infiniti, ma ne anco tra gl'infiniti e i finiti.
Passo ora ad un'altra considerazione, ed è, che stante che la linea ed ogni continuo sian divisibili in sempre divisibili, non veggo come si possa sfuggire, la composizione essere di infiniti indivisibili, perché una divisione e subdivisione che si possa proseguir perpetuamente, suppone che le parti siano infinite, perché altramente la subdivisione sarebbe terminabile; e l'esser le parti infinite si tira in consequenza l'esser non quante, perché quanti infiniti fanno un'estensione infinita (*)si deduce che le parti infinite non hanno estensione, perché se l'avessero, l'insieme avrebbe una estensione infinita: e così abbiamo il continuo composto d'infiniti indivisibili.

Simpl. Ma se noi possiamo proseguir sempre la divisione in parti quante, che necessità abbiamo noi di dover, per tal rispetto, introdur le non quante (*)se possiamo sempre suddidividere una lunghezza in parti più piccole, ma pur sempre estese, che bisogno c'è di introdurre gli indivisibili??

Sal. L'istesso poter proseguir perpetuamente la divisione in parti quante, induce la necessità della composizione di infiniti non quanti. Imperò che, venendo più alle strette, io vi domando che resolutamente mi diciate, se le parti quante nel continuo, per vostro credere, son finite o infinite (*)le parti estese nel continuo, a vostro parere, sono finite o infinite?

Simpl. Io vi rispondo, essere infinite e finite: infinite, in potenza; e finite, in atto: infinite in potenza, cioè innanzi alla divisione; ma finite in atto, cioè dopo che son divise; perché le parti non s'intendono attualmente(*)effettivamente esser nel suo tutto, se non dopo esser divise o almeno segnate; altramente si dicono esservi in potenza.

Sal. Sì che una linea lunga, verbigrazia, venti palmi non si dice contener venti linee di un palmo l'una attualmente, se non dopo la divisione in venti parti eguali; ma per avanti si dice contenerle solamente in potenza.
Or sia come vi piace; e ditemi se, fatta l'attual divisione di tali parti, quel primo tutto cresce o diminuisce, o pur resta della medesima grandezza (*)dopo che è stata effettivamente eseguita la suddivisione, l'insieme suddiviso aumenta, diminuisce o resta uguale?

Simpl. Non cresce, ne scema(*)cala.

Sal. Così credo io ancora. Adunque le parti quante nel continuo, o vi siano in atto o vi siano in potenza, non fanno la sua quantità maggiore ne minore: ma chiara cosa è, che parti quante attualmente contenute nel lor tutto, se sono infinite, lo fanno di grandezza infinita: adunque parti quante, benché in potenza solamente, infinite, non possono esser contenute se non in una grandezza infinita; adunque nella finita parti quante infinite, ne in atto ne in potenza possono esser contenute (*)un insieme finito non può contenere un numero infinito di parti estese né in atto né in potenza.

Sagr. Come dunque potrà esser vero che il continuo possa incessabilmente dividersi in parti capaci sempre di nuova divisione?

Sal. Par che quella distinzione d'atto e di potenza vi renda fattibile per un verso quel che per un altro sarebbe impossibile. Ma io vedrò d'aggiustar meglio queste partite con fare un altro computo; ed al quesito che domanda se le parti quante nel continuo terminato sian finite o infinite, risponderò tutto l'opposito di quel che rispose dianzi il signor Simplicio, cioè non esser ne finite ne infinite.

Simpl. Ciò non arei saputo mai risponder io, non pensando che si trovasse termine alcuno mezzano tra 'l finito e l'infinito, sì che la divisione o distinzione che pone, una cosa o esser finita o infinita, fusse manchevole e difettosa (*)possa esistere una via di mezzo tra il finito e l'infinito, e che l'alternativa finito/infinito sia imprecisa e sbagliata.

Sal. A me par ch'ella sia. E parlando delle quantità discrete, parmi che tra le finite e l'infinite ci sia un terzo medio termine, che è il rispondere ad ogni segnato numero (*)una possibilità intermedia, cioè la suddivisione in un numero prestabilito di parti; sì che, domandato, nel presente proposito, se le parti quante nel continuo siano finite o infinite, la più congrua risposta sia il dire, non esser ne finite ne infinite, ma tante che rispondono ad ogni segnato numero: per il che fare è necessario che elle non siano comprese dentro a un limitato numero, perché non risponderebbono ad un maggiore; ma ne anco è necessario che elle siano infinite, perché niuno assegnato numero è infinito: e così ad arbitrio del domandante una proposta linea (*)un segmento prestabilito gliela potremo assegnare segata in cento parti quante, e in mille e in cento mila, conforme a qual numero più gli piacerà; ma divisa in infinite, questo non già.
Concedo dunque a i signori filosofi che il continuo contiene quante parti quante piace loro, e gli ammetto che le contenga in atto o in potenza, a lor gusto e beneplacito; ma gli soggiungo poi, che nel modo che in una linea di dieci canne si contengono dieci linee d'una canna l'una, e quaranta d'un braccio l'una, e ottanta di mezzo braccio, etc., così contiene ella punti infiniti: chiamateli poi in atto o in potenza, come più vi piace (*)è una distinzione priva di significato, che io, signor Simplicio, in questo particolare mi rimetto al vostro arbitrio e giudizio.

Simpl. Io non posso non laudare il vostro discorso: ma ho gran paura che questa parità dell'esser contenuti i punti come le parti quante non corra con intera puntualità, ne che a voi sarà così agevole il dividere la proposta linea in infiniti punti (*)vi sarà impossibile dividere un segmento in infinite parti, come a quei filosofi in dieci canne o in quaranta braccia: anzi ho per impossibile del tutto il ridurr'ad effetto tal divisione, sì che questa sarà una di quelle potenze che mai non si riducono in atto.

Sal. L'esser una cosa fattibile se non con fatica o diligenza, o in gran lunghezza di tempo, non la rende impossibile (*)Il fatto che una cosa richieda fatica, diligenza o molto tempo non la rende logicamente impossibile, perché penso che voi altresì non così agevolmente vi sbrighereste da una divisione da farsi d'una linea in mille parti, e molto meno dovendo dividerla in 937 o altro gran numero primo. Ma se questa, che voi per avventura stimate divisione impossibile, io ve la riducessi a così spedita come se altri la dovesse segare in quaranta (*)Ma se io vi dimostrassi che questa cosa che giudicate impossibile si può fare velocemente come la divisione di un segmento in quaranta parti, vi contentereste voi di ammetterla più placidamente nella nostra conversazione?

Simpl. Io gusto del vostro trattar, come fate talora, con qualche piacevolezza (*)Apprezzo che ogni tanto fate lo spiritoso; ed al quesito vi rispondo, che la facilità mi parrebbe grande più che a bastanza, quando il risolverla in punti non fusse più laborioso che il dividerla in mille parti.

Sal. Qui voglio dirvi cosa che forse vi farà maravigliare, in proposito del volere o poter risolver la linea ne' suoi infiniti tenendo quell'ordine che altri tiene nel dividerla in quaranta, sessanta o cento parti, cioè con l'andarla dividendo in due e poi in quattro etc.: col qual ordine chi credesse di trovare i suoi infiniti punti, s'ingannerebbe indigrosso, perché con tal progresso ne men alla division di tutte le parti quante si perverrebbe in eterno; ma de gli indivisibili tanto è lontano il poter giugner per cotal strada al cercato termine, che più tosto altri se ne discosta, e mentre pensa, col continuar la divisione e col multiplicar la moltitudine delle parti, di avvicinarsi alla infinità, credo che sempre più se n'allontani: e la mia ragione è questa. Nel discorso auto(*)avuto poco fa concludemmo, che nel numero infinito bisognava che tanti fussero i quadrati o i cubi quanti tutti i numeri (*)gli insiemi dei quadrati e dei cubi sono equipotenti all'insieme dei numeri, poiché e questi e quelli tanti sono quante le radici loro, e radici son tutti i numeri.
Vedemmo appresso, che quanto maggiori numeri si pigliavano, tanto più radi si trovavano in essi i lor quadrati, e più radi ancora i lor cubi (*)aumentando l'insieme dei numeri considerati, la percentuale dei quadrati e dei cubi va calando: adunque è manifesto, che a quanto maggiori numeri noi trapassiamo, tanto più ci discostiamo dal numero infinito; dal che ne seguita che, tornando in dietro (poiché tal progresso sempre più ci allontana dal termine ricercato), se numero alcuno può dirsi infinito, questo sia l'unità.
E veramente in essa son quelle condizioni e necessari requisiti del numero infinito, dico del contener in sé tanti quadrati quanti cubi e quanti tutti i numeri (*)L'insieme costituito dal solo numero 1 possiede le caratteristiche notate per l'insieme di tutti i numeri: il numero dei quadrati e dei cubi contenuti in esso è equipotente all'insieme stesso.

Simpl. Io non capisco bene come si deva intender questo negozio.

Sal. Il negozio non ha in sé dubbio veruno, perché l'unità è quadrato, è cubo, è quadrato quadrato e tutte le altre dignità, ne vi è particolarità veruna essenziale a i quadrati, a i cubi, etc., che non convenga all'uno: come, verbigrazia, proprietà di due numeri quadrati è l'aver tra di loro un numero medio proporzionale: pigliate qualsivoglia numero quadrato per l'uno de' termini e per l'altro l'unità, sempre ci troverete un numero medio proporzionale. Siano due numeri quadrati 9 o 4: eccovi, tra 'l 9 e l'uno, medio proporzionale il 3; fra 'l 4 e l'uno media il 2; e tra i due quadrati 9 e 4 vi è il 6 in mezzo.
Proprietà de i cubi è l'esser tra essi necessariamente due numeri medii proporzionali: ponete 8 e 27, già tra loro son medii 12 e 18; e tra l'uno e l'8 mediano il 2 e 'l 4; e tra l'uno e 'l 27, il 3 e 'l 9.
Concludiamo pertanto, non ci essere altro numero infinito che l'unità.
E queste sono delle maraviglie che superano la capacità della nostra immaginazione, e che devriano farci accorti quanto gravemente si erri mentre altri voglia discorrere intorno a gl'infiniti con quei medesimi attributi che noi usiamo intorno a i finiti, le nature de i quali non hanno veruna convenienza tra di loro.

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