Misura della carica specifica dell'elettrone
con le bobine di Helmholtz

(note a cura di Roberto Bigoni)


1. La legge di Biot-Savart in forma differenziale (Laplace).

Usando una piccola bussola come sensore di campo magnetico si può rilevare che nei dintorni dei fili percorsi da corrente continua è presente un campo di induzione magnetica (effetto Oersted).

Tale campo ha natura vettoriale ed è quindi caratterizzato in ogni punto da una direzione e un verso: nel caso di un filo rettilineo infinito la direzione risulta perpendicolare al piano contenente il filo e una qualunque retta congiungente il punto al filo.
Il verso è tale che vedendo il filo in sezione, se la corrente si allontana dall'osservatore, l'induzione è orientata in senso orario e viceversa.

Ovviamente un 'filo rettilineo infinito' rappresenta una condizione asintotica, approssimabile nella pratica sperimentale usando un filo abbastanza lungo ed esplorando il campo vicino al filo e lontano dagli estremi.

Misurando nel vuoto l'intensità campo di induzione (usualmente rappresentato con B) a varie distanze dal filo, si trova sperimentalmente che esso è direttamente proporzionale all'intensità i della corrente nel filo e inversamente proporzionale alla distanza d del punto dal filo secondo la legge di Biot-Savart

fig. 1

La costante di proporzionalità μo che compare nell'espressione di B è detta permeabilità magnetica del vuoto e nel S.I.
vale 4π10-7 T m/A.

Per dedurre da un principio teorico l'intensità di B in un punto P si può ipotizzare che ogni singola quantità infinitesima di carica dq contenuta in ogni tratto infinitesimo di filo dl contribuisca a tale campo per una quantità vettoriale infinitesima dB proporzionale alla carica dq e alla sua velocità v e al seno dell'angolo che tale velocità forma con la congiungente la carica e il punto P e che, in analogia con la legge di Coulomb, tale contributo sia inversamente proporzionale al quadrato della distanza r del punto dalla carica.

fig. 2

In una più precisa notazione vettoriale si ha

fig. 3

Se nella (1.2) si osserva che

fig. 4

e che

fig. 5

si ottiene

fig. 6

La validità dell'ipotesi fatta può essere controllata a posteriori ricavando da essa la legge sperimentale di Biot-Savart

fig. 7

Nella figura la corrente i scorre nel filo verticale verso l'alto. Il tratto infinitesimo di filo dl forma l'angolo θ con il vettore r da dl a P. r forma l'angolo α con la perpendicolare PO da P al filo. Detta x la misura di PO

fig. 8

Con questo cambio di variabile la (1.4) diventa

fig. 9

Notando che x = r cos α, dalla (1.5) si ha

fig. 10

L'intensità totale B dovuta a tutto il filo (ipotizzato di lunghezza infinita) risulta quindi

fig. 11

che, con la sostituzione di x con d, riproduce la (1.1), confermando la bontà dell'ipotesi dell'espressione differenziale (1.4)

 


2. Campo di induzione magnetica sull'asse di una spira.

Usando la (1.4) si può andare oltre il risultato sperimentale espresso dalla legge di Biot-Savart (1.1) e dedurre il valore dell'intensità del campo B per circuiti di configurazione geometrica diversa da quella retta.

Il caso più semplice è quello di un circuito di forma circolare, cioè di una spira, quando si intenda determinare il campo di induzione magnetica B in un punto P del suo asse.

In uno di tali punti la direzione di B coincide con la direzione dell'asse stesso. Infatti considerando due tratti infinitesimi di spira diametralmente opposti è immediato concludere che le intensità dei contributi dB di ognuno di essi all'induzione nel punto P sono uguali. Gli angoli che tali contributi dB formano con l'asse sono geometricamente uguali, le loro componenti perpendicolari all'asse sono opposte e quindi di somma nulla, mentre le loro componenti parallele all'asse sono uguali e si sommano. Il verso della somma è dal punto alla spira (entrante) se guardando la spira dal punto si vede ruotare la corrente in senso orario; il verso è dalla spira al punto se si vede ruotare la corrente in senso antiorario.

fig. 12

Con riferimento alla figura, il contributo dB di un singolo elemento di spira, per la (1.4) risulta

fig. 13

ma l'unica sua componente efficace è quella parallela all'asse

fig. 14

Il campo B totale nel punto P si ottiene integrando la (2.2) su tutta la lunghezza 2πR della spira

fig. 15

Per ottenere il campo B in funzione della distanza y del punto P dal piano della spira si esprime r come ipotenusa del triangolo rettangolo di cateti R e y:

fig. 16

Come caso particolare dalla (2.4) si ottiene campo nel centro della spira

fig. 17

Un altro caso particolare è dato dal calcolo dell'intensità di B in un punto dell'asse distante ½R dal piano della spira

fig. 18

 


3. Le bobine di Helmholtz.

Per ottenere in un punto P un campo di induzione B sufficientemente intenso e facilmente controllabile si possono accoppiare due bobine parallele e allineate costituite da un uguale numero N di spire circolari di uguale raggio R, percorse dalla stessa corrente i e poste a distanza R l'una dall'altra. Questa struttura, nota come 'bobine di Helmholtz', è tale che, per la (2.6) nel suo centro (di ugual distanza ½R da entrambe le bobine) il campo BH risulta assiale con intensità

fig. 19

Ad esempio, se ogni bobina di raggio R=10 cm è formata da 500 spire ed è percorsa da una corrente di 10 A si ottiene nel vuoto B ≈ 2 10-2 Tesla ≈ 200 Gauss

Tale campo risulta molto più intenso di quello terrestre che è di circa mezzo Gauss.

Il campo B risulta sufficientemente costante in tutta la zona centrale.

 


4. Misura della carica specifica dell'elettrone.

Elettroni iniettati con velocità v perpendicolare al campo di induzione magnetica B creato con una coppia di bobine di Helmholtz sono soggetti alla forza di Lorenz di intensità

fig. 20

Tale forza, perpendicolare alla velocità funge da forza centripeta e gli elettroni, finché sono nel campo magnetico, percorrono un arco di circonferenza di raggio R secondo la relazione

fig. 21

in cui si è uguagliata l'espressione meccanica della forza centripeta alla forza di Lorentz.

La (4.2) permette di dedurre il rapporto carica/massa (carica specifica) per l'elettrone

fig. 22

La velocità degli elettroni di un fascio può a sua volta essere determinata dalla conoscenza del potenziale acceleratore nel 'cannone elettronico' che produce il fascio. L'energia degli elettroni è eV ed equivale alla loro energia cinetica

fig. 23

Dalla (4.4) si ottiene  mv2=2eV e dalla (4.2) mv2=eVRB.

Uguagliando i secondi membri di queste relazioni si ottiene

fig. 24

Sostituendo l'espressione di v data dalla (4.5) nella (4.3) si ottiene infine

fig. 25

Le grandezze a secondo membro della (4.6) sono sperimentalmente accessibili e permettono quindi di ottenere la misura della carica specifica dell'elettrone. Da questa misura e da quella della carica dell'elettrone ottenuta da Millikan è poi possibile ricavare la misura della massa a riposo dell'elettrone.

In particolare, per facilitare la misura del raggio di curvatura R del fascio di elettroni, si evidenzia il fascio su un piano cartesiano disegnato su un supporto piano quadrettato in cm facendo in modo che l'arco di circonferenza inizi nell'origine O del sistema di riferimento. Con questo accorgimento è sufficiente leggere le coordinate di un altro punto P del fascio, sufficientemente lontano dall'origine per diminuire gli errori di misura, per ricavare il raggio.

Infatti l'equazione di una circonferenza di centro (0;R) e raggio R risulta

fig. 26

Sviluppando e semplificando

fig. 27

Se il punto P(xP;yP) appartiene alla circonferenza, le coordinate ne soddisfano l'equazione. Da

fig. 28

si ottiene

fig. 29

fig. 30

Ad esempio, nella figura si individua il punto P(8;5).

Il raggio della circonferenza, per la (4.6) risulta 8,9 cm.

 


ultimo aggiornamento: Maggio 2018