Il dialetto ferrarese.

(note linguistiche a cura di R. Bigoni)


1. La nascita di Ferrara e del suo dialetto.

Spesso, come nella voce di Wikipedia, il dialetto ferrarese viene definito come dialetto di tipo gallo-italico della lingua emiliana. Alle persone che parlano questo dialetto e conoscono abbastanza bene quelli delle provice emiliano-romagnole circostanti Ferrara (Bologna, Modena, Ravenna) questa definizione appare quantomeno superficiale per le notevoli differenze che si riscontrano tra il Ferrarese e i dialetti di queste province rispetto alla molto maggiore affinità con le parlate delle altre città situate lungo il corso del Po come, ad esempio, la vicina Mantova.
In effetti Ferrara è lontana dalla Via Emilia, che invece attraversa tutte le altre città della regione esclusa Ravenna. Nel Medioevo nel delta del Po non c'erano strade e le uniche vie di comunicazione erano fiumi e canali. Per Ferrara le più importanti via di comunicazione con il retroterra sono sempre stati il Po e i suoi affluenti settentrionali che avevano portate abbastanza costanti nel corso dell'anno. I fiumi appenninici avevano ed hanno piene rovinose alternate a magre estive, si interravano e si impaludavano senza giungere al mare ed erano inaffidabili per una navigazione regolare. Va ricordato che le imbarcazioni fluviali nell'antichità e nel Medio Evo erano costituite da chiatte o barche a fondo piatto trainate da animali o schiavi che si muovevano su sentieri tracciati sulle rive. La zona di Ferrara era praticamente isolata dal resto dell'attuale regione Emilia-Romagna e molto meglio collegata alle preesistenti città venete e lombarde.
Le differenza maggiore che si notano tra il dialetto di Ferrara e quello delle provincie confinanti sono le seguenti.

Tuttavia il Ferrarese, come altri dialetti settentrionali e a differenza dei dialetti veneti, mantiene una importante caratteristica gallica, di derivazione lombarda, cioè la forza dell'accento tonico che fa sì che, come in Francese, le parole maschili siano generalmente ossitone con sparizione di una eventuale vocale etimologica finale. Le parole femminili, etimologicamente terminanti in a, in Francese indeboliscono la pronuncia della vocale finale in una e muta o semimuta. Nel Ferrarese, come nei dialetti veneti, invece mantengono la a e l'eventuale ae del plurale etimologico è evoluta in i. Dato che i plurali maschili mancano di uno specifico marcatore, essi spesso coincidono con il corrispettivo singolare, dal quale si distinguono solo per l'articolo, o sono soggetti a forme di metafonesi tipiche invece delle lingue germaniche e che probabilmente si sono diffuse durante il periodo di egemonia longobarda.

La natura ibrida del dialetto ferrarese può essere spiegata osservando che anticamente il territorio dell'attuale provincia di Ferrara semplicemente non esisteva, innanzitutto perché la linea di costa sul Mare Adriatico era notevolmente più arretrata rispetto all'attuale, poi perché l'idrografia del delta padano era costituita da una serie di rami che con le loro alluvioni, assieme a quelle del Reno, della Secchia e del Panaro a Sud e a quelle del Tartaro e dell'Adige a Nord, rendevano tutta la regione deltizia una grande palude praticamente disabitata.

Attorno al 500 a. C. sorsero Adria a Nord e Spina a Sud, porti e centri commerciali di probabile fondazione etrusca posti sugli allora principali rami deltizi. L'importanza di queste due città, come nota Strabone, è testimoniata dal fatto che da Adria prese nome il mare Adriatico e che Spina, abitata probabilmente anche da coloni greci, manteneva un proprio tesoro presso l'oracolo di Delfi. In età repubblicana il ramo di Adria, il cui alveo è oggi occupato del Canal Bianco, andò ostruendosi. Il ramo di Spina rimase quindi il ramo principale del fiume, dividendosi a sua volta, presso l'attuale Ferrara in due rami, l'Olana, attualmente Po di Volano, e il Padoa, attualmente Po di Primaro, oggi canalizzato come foce del Reno. In seguito Spina probabilmente travolta da numerose inondazioni venne gradualmente abbandonata, sostituita nelle sue funzioni da Rimini e poi da Ravenna, più comodamente raggiungibili da Roma tramite la Via Flaminia. In definitiva il territorio dell'attuale provincia di Ferrara rimase lungamente disabitato, frequentato solo occasionalmente come territorio di pesca, caccia o raccolta di legname e piante spontanee.

Un primo inizio di ripopolazione stabile dell'attuale territorio ferrarese si ebbe nella tarda età imperiale con il sorgere di Vicus Habentia, oggi Voghenza, insediamento agricolo e commerciale sul Sandolo, ramo del Volano oggi interrato e di cui rimane traccia nel toponimo Consandolo, che facilitava la navigazione per Ravenna. Voghenza dovette assurgere ad una certa importanza economica ed amministrativa in quanto fu sede vescovile dal 330 al 664. Dal 568 i Longobardi guidati da Alboino occuparono gran parte dell'Italia settentrionale e centrale fermandosi di fronte alla resistenza dei Bizantini di Ravenna che che per contrastarli si insediarono nel nuovo borgo di Ferraria, a nord di Voghenza, sulla sinistra del Po di Volano alla biforcazione tra Volano e Primaro, presso cui munirono una fortezza detta Ferrariola nella quale trasferirono la sede vescovile che comunque manteneva il titolo di Voghenza. Il nome Ferraria, di origine evidentemente medioevale, può derivare dal latino ferraria nel senso di officina di maniscalco per la ferratura di cavalli.

Probabilmente la resistenza bizantina non durò molto e il Longobardi si insediarono stabilmente in Ferrara, popolandola con guerrieri longobardi e servi indigeni. Questa posizione si rivelò favorevole non solo militarmente ma anche per le comunicazioni e gli scambi via acqua con il retroterra padano saldamente in mano ai Longobardi e con l'alto Adriatico e con la costa dalmatica da cui proveniva la potente dinastia nobiliare dei Giocoli.

Dopo la conquista longobarda di Ravenna da parte del re Astolfo nel 751 il peso militare, politico, economico ed ecclesiastico di Ravenna andò declinando, mentre aumentò notevolmente quello di Ferrara. Infatti già attorno all'anno 1000 Tedaldo di Canossa, già marchese di Toscana e conte di Modena e Canossa, divenne anche conte di Ferrara, nominato dall'imperatore Ottone II di Sassonia. Solo nel 1135 il vescovo si trasferì ufficialmente in Ferrara, divenuta ormai un'importante città dell'impero germanico, sancendo giuridicamente l'autonomia della chiesa ferrarese da quella ravennate.
Matilde, discendente di Tedaldo ed erede dei suoi feudi, nella lotta contro Enrico IV, nel 1079 li donò al papa Gregorio VII. Ferrara quindi, nominalmente feudo della Chiesa, dopo la morte di Matilde si resse a comune dominato da una oligarchia di potenti dinastie cittadine come i guelfi Adelardi e Giocoli e i ghibellini Torelli. Le rivalità tra guelfi e ghibellini condussero all'alleanza tra gli Adelardi e i Giocoli e il marchese Obizzo d'Este, sancita dal progetto di matrimonio tra Marchesella Adelardi e Azzo VI, nipote di Obizzo. Alla morte di Marchesella, attorno al 1180, i beni degli Adelardi passarono agli Estensi dando inizio al dominio cittadino di questa dinastia che durò fino alla morte del duca Alfonso II nel 1597, quando, per mancanza di eredi maschi, il feudo tornò all'amministrazione diretta dello Stato Pontificio e la capitale del ducato estense fu trasferita a Modena che giuridicamente era un feudo imperiale.

Durante il regno longobardo, la perdita del controllo degli esarchi e della chiesa ravennati su Ferrara fu parzialmente controbilanciata dallo sviluppo urbano, marinaro e commerciale di Comacchio, che divenne sede vescovile e che nel corso delle guerre tra Bizantini e Longobardi passò sotto il dominio longobardo. I privilegi sul commercio del sale nella pianura padana accordati dai re longobardi a Comacchio, ad esempio con il Capitolare di Liutprando del 715, ne fecero per qualche tempo uno dei porti e una delle marinerie più importanti dell'Adriatico, tali da minacciare la nascente potenza di Venezia. Terminata la protezione longobarda, tra le due città nel corso IX secolo vi furono numerosi scontri armati fino alla definitiva distruzione di Comacchio da parte dei Veneziani nel 932, dalla quale la cittadina si risollevà parzialmente solo dopo la devoluzione del ducato estense allo Stato Pontificio con importanti interventi di riqualificazione urbana come, ad esempio, la ricostruzione del duomo, il portico dei Cappuccini ed il riassetto della canalizzazione interna con l'edificazione dei Trepponti.
Va comunque sottolineato che l'isolamento di Comacchio rispetto a Ferrara e al resto del territorio ferrarese è rispecchiato anche dalla diversa evoluzione dei due dialetti cittadini, tanto che fino al secolo scorso i Comacchiesi qualificavano come 'vilàn' il dialetto ferrarese dei paesi vicini. Il dialetto comacchiese, che presenta vocali turbate e dittongazioni finali, non è ferrarese ma probabilmente un antico dialetto romagnolo, arrivato da Ravenna e zone limitrofe ed evoluto indipendentemente dagli altri dialetti romagnoli sempre a causa del suo isolamento, protratto fino all'epoca delle bonifiche novecentesche delle valli.
Argenta, sorta nel VII secolo come avamposto bizantino sul Po di Primaro e rimasta a lungo sotto il controllo di Ravenna, nel XIII secolo fu conquistata dagli Estensi e infeudata ai Giocoli ma tuttora ecclesiasticamente appartiene all'arcidiocesi di Ravenna. Il suo dialetto da allora fu influenzato dal Ferrarese mantenendo comunque notevoli tracce delle parlate bolognese e ravennate.

Il dialetto ferrarese è andato emergendo tra il Seicento e l'Ottocento d. C, da una koiné padano-veneta dovuta alla convergenza e all'amalgamento di due diversi flussi migratori e dei rispettivi volgari: uno dai preesistenti insediamenti longobardi situati a Ovest lungo il corso del Po, come Mantova e Cremona, e uno dalle città venete tra Adige e Brenta, come Padova ed Este, luogo di origine della dinastia estense, con una prevalenza di quest'ultimo, come lasciano congetturare, ad esempio, i nomi dei giorni della settimana, che negli altri dialetti emiliani mantengono, come in Italiano, la finale dal latino dies, nel dialetto ferrarese, come nei dialetti veneti non l'hanno, o vocaboli come busgàt (maiale), galàna (tartaruga) o puìna (ricotta), sconosciuti in altre province emiliano-romagnole. Su questa base si innestarono molte parole di origine longobarda. Ad esempio, la sedia per i Ferraresi è la skaràna. Nei secoli successivi all'anno 1000 viceversa fu il dialetto ferrarese che, data l'importanza politica e culturale assunta dalla città e date le affinità linguistiche e fonetiche, influenzò quelli delle città padane e di ampie zone della attuale provincia di Rovigo ma interagendo molto debolmente con i dialetti di Bologna, Modena e Ravenna.
Forse già durante il regno longobardo le aristocrazie ferraresi si erano assicurate il pieno controllo della navigazione sul Volano soprattutto innalzando argini atti a prevenire inondazioni ma anche a fungere come alzaie percorse da asini o muli adibiti al traino delle imbarcazioni fluviali. Ancor oggi un esame delle mappe delle strade sovrapposte a questi tracciati rivela l'ampiezza in quell'epoca dell'alveo del Volano tra Ferrara e il mare.

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Il controllo non solo idraulico ma anche economico, fiscale e militare del corso del Volano favorì il sorgere di insediamenti per il traghetto di merci, per il pagamento di pedaggi e per il cambio e il nutrimento degli animali da tiro e permise anche la fondazione di istituzioni dedicate alla bonifica delle paludi circostanti come la celebre Abbazia benedettina di Pomposa, attiva almeno a partire dal secolo IX, che favorì la messa coltura di porzioni notevoli del delta e il sorgere di nuove fattorie.

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Nel 1152 una piena del Po causò la rottura degli argini presso la località di Ficarolo, provocando lo spostamento dell'alveo principale del fume nella sua attuale collocazione, diminuendo di molto l'importanza di Ferrara come nodo di navigazione fluviale. Nei secoli successivi la portata del Volano calò notevolmente, l'alveo andò interrandosi e restringendosi. Tuttavia, data la quasi completa mancanza di strade, le vie d'acqua rimanevano essenziali per i trasporti e i commerci. I Ferraresi quindi mantennero navigabile il Volano, che per loro era semplicemente al Po, immettendovi acque con canali come il Goro e il Rero dedotti dal nuovo corso, dragandolo e fornendolo di varie opere idrauliche tanto che il Volano fu utilizzato per la navigazione interna fino al secolo scorso. Ad esempio, lo Zuccherificio del Volano fu costruito sulla sua riva destra dotato di una darsena attrezzata per lo scarico delle chiatte che vi trasportavano le barbabietole della campagna circostante.
Dopo la rotta di Ficarolo i duchi di Ferrara cercarono comunque di mantenere il controllo commerciale e militare anche del nuovo corso del Po con fortificazioni come quella di Stellata, cosa che favorì la diffusione della parlata ferrarese tra il Volano e quello che ora era chiamato Po Grande.

Tuttavia la maggior parte dell'attuale provincia di Ferrara praticamente fino all'unità d'Italia rimase ampiamente caratterizzata da ampie estensioni paludose. La necessità di imponenti lavori di bonifica per la messa coltura del territorio è stata storicamente alla base della formazione nella provincia di grandi proprietà terriere in mano a nobili, enti ecclesiastici e, nei secoli XIX e XX, ricchi borghesi o società per azioni, con la massa della popolazione formata da braccianti, in gran parte analfabeti, impegnati nelle bonifiche e nei lavori agricoli stagionali.
La piccola proprietà agricola e la mezzadria erano praticamente inesistenti.
Nel XX secolo i braccianti, impiegati nei lavori agricoli per poche decine di giornate all'anno, sopravvivevano miseramente con forme di autosussitenza come piccoli orti famigliari, allevamento di pollame e suini, pesca di rane e tinche nei fossi e nei maceri, spigolatura dei residui delle mietiture nei latifondi.
In epoca fascista numerose colonie di braccianti ferraresi, attratti dalla promessa di proprietà dei nuovi poderi, furono insediate nei territori di bonifica dell'agro pontino e del territorio di Alghero, con esiti scarsamente soddisfacenti. Molti di essi tornarono ai luoghi di partenza.
Nel secondo dopoguerra la piccola proprietà agricola è stata incoraggiata dai governi democristiani con la fondazione dell'Ente Delta Padano ma ciò non ha impedito che, con la diffusione della meccanizzazione dell'agricoltura, grande parte della popolazione della provincia sia stata costretta all'emigrazione nei centri industriali del Nord.


2. La fonetica.

Vocali e consonanti del dialetto ferrarese, se si eccettuano le particolari colorature della a, della s e della l che normalmente un Ferrarese non avverte e che mantiene spesso anche parlando Italiano e l'assenza del suono rappresentato in Italiano dal digramma sc come in scena o scienza, coincidono con quelle dell'Italiano. Tuttavia la corrente ortografia nella nostra lingua ignora diversi valori fonetici di varie vocali e consonanti affidendone la pronuncia alla competenza linguistica spontanea dei parlanti.
Ad esempio l'apertura della vocale e è segnalata solo quando la vocale è esplicitamente accentata, ma è ignorata in caso contrario. Così la pronuncia della parola chiesa di norma suona diversamente in bocca ad un settentrionale e a un toscano. La o di donna suona diversamente dalla o di dove. La i di iosa suona diversamante dalla i di riso.
Situazioni analoghe si verificano per molte consonanti: la s di sano non è la s di naso, la z di zona non è la z di azione, la n di naso non è la n di ansa.
Volendo rendere conto in modo affidabile della corretta pronuncia delle parole italiane e tantopiù di quelle dialettali bisognerebbe ricorrere a notazioni appropriate come quelle proposte dall'IPA, cosa però che le renderebbe illeggibili alla stragrande maggioranza degli eventuali lettori di questa pagina. Vari autori hanno escogitato metodi più o meno efficaci di rappresentazione dei suoni del Ferrarese. Qui se ne propone un ennesimo che permetta di evitare l'uso di digrammi, basato cioè sul principio che ad ogni suono corrisponda un'unico carattere dell'alfabeto latino eventualmente leggermente modificato o qualificato da un opportuno segno diacritico.

consonanti
carattere pronuncia
k c gutturale come in cosa
c c affricata come in c'è
ɣ g gutturale come in gatto
g g affricata come in gelo
j i semiconsonantico come in iosa
ʎ laterale palatale come in paglia
ŋ n leggermente nasale come in anche
ñ n palatale nasale come in campagna
s s sorda come in santo
š s sonora come in rosa
z z sorda come in azione
ž z sonora come in zero
vocali
carattere pronuncia
è e tonica grave come in presto
é e tonica acuta come in vena
ě e atona aperta come in prestissimo
ê e atona chiusa come in venoso
ò o tonica grave come in porta
ó o tonica acuta come in dove
ǒ o atona aperta come in portare
ô o atona chiusa come in dovunque
 
 
 
 

Esempio.


3. Vocabolario ed etimologia.

Come osservò Dante nel De Vulgari Eloquentia, ai suoi tempi nessun Ferrarese aveva prodotto testi letterari nella lingua locale da lui giudicata inadatta a generare un volgare illustre perché 'aspra' e 'cruda' a causa dell'influenza della lingua longobarda.
Testi in dialetto ferrarese appaiono nell'Ottocento a cura di studiosi del folclore popolare con la pubblicazione di raccolte di canti popolari.
Nell'Ottocento sono pubblicati vocabolari ferraresi. Questi vocabolari, un po' farraginosi e dilettanteschi, non avendo 'autori' di riferimento, si sono basati sulla registrazione diretta del parlato cittadino, inevitabilmente fluido e mutevole negli anni e sincronicamente soggetto anche alle sensibilità soggettive dei parlanti e dei vocabolaristi o alla fissazione di parole e pronunce di particolari rioni o suburbi.
L'amore per la propria città e per il proprio dialetto incoraggia oggi generose produzioni letterarie che però difficilmente possono superare il perimetro cittadino e ambire a definire in modo stabile vocabolario, grammatica e sintassi e stabilire uno standard comune a tutta la provincia.
Probabilmente ciò è dovuto anche anche alla difficoltà di rendere con l'alfabeto italiano la fonetica ferrarese, problema che di norma ognuno risolve a modo suo.
A ciò si aggiunga la forte attrazione della lingua italiana sugli strati più o meno acculturati della popolazione che ha fatto sì che molte parole dialettali o sparissero o evolvessero confusamente avvicinandosi o anche confondendosi con le corrispondenti italiane o che, viceversa, molti neologismi introdotti nell'Italiano fossero accolti nel dialetto integri o con lievi adattamenti fonetici.
In questa sede ci si interesserà quasi solamente dei vocaboli dialettali che non siano un chiara e diretta importazione dall'italiano, cioè quelli che più si allontanano dal vocabolo italiano corrispondente e che quindi appaiano direttamente evoluti da etimi latini, greci, gallici, germanici o di altra provenienza.
Per fare qualche esempio, la parola problema può essere tranquillamente usata parlando in Ferrarese, ma è una parola italiana giunta direttamente dal Greco per la quale il Ferrarese non ha prodotto autonomamente un equivalente. La patata è la patata anche in Ferrarese, ma è chiaro che si tratta di un acquisto dall'Italiano che a sua volta l'ha mutuato tramite lo Spagnolo da qualche lingua amerindia. La purea di patate è al purè, che viene direttamente dall'Italiano che a sua volta l'ha importato del Francese. Qualche decennio fa i Ferraresi erano governati da al Dùce, ma è chiaro che duce non è parola ferrarese. Nel territorio ferrarese tutti capiscono cosa significa munizìpi, che però non è che un adattamento di municipio alla fonetica ferrarese e comunque un Ferrarese dialettofono che sta andando in municipio molto probabilmente dirà a vaɣ in kumùŋ.
Di norma i Ferraresi, come molti altri loro connazionali, quando devono discutere di argomenti come la fisica quantistica o la biologia molecolare o anche solo della politica nazionale parlano Italiano.

Le caratteristiche principali del vocabolario ferrarese.

Il Piccolo Vocabolario Italiano-Ferrarese permette di rintracciare le corrispondenti ferraresi di alcune parole italiane con congetture sulla loro etimologia .

Il Piccolo Vocabolario Ferrarese-Italiano presenta un elenco di parole ferraresi con la loro traduzione italiana.


4. Grammatica.

La grammatica del Ferrarese è molto simile a quella dell'Italiano.
I sostantivi sono di genere maschile o femminile, di numero singolare o plurale e possono essere qualificati da articoli o aggettivi che si accordano con il sostantivo in genere e numero.

Articoli.

L'articolo determinativo singolare maschile è l che davanti a parola iniziante per consonante si vocalizza in al. Il plurale è i davanti a consonante, j davanti a vocale. Esempi: al kavàl = il cavllo, i kavàj = i cavalli; l'òman = l'uomo; j òman = gli uomini.
L'articolo determinativo singolare femminile è la con elisione davanti a parola iniziante per vocale. Il plurale è il davanti a consonante, j davanti a vocale. Esempi la kavàla = una cavalla, il kavàli = le cavalle; l'amìɣa = l'amica, j amìɣi = le amiche.
L'articolo indeterminativo singolare maschile è un spesso ridotto semplicemente a n davanti a vocale. Esempi: un can = un cane, n'àrbul = un albero.
L'articolo indeterminativo singolare femminile è una spesso ridotto semplicemente a na. Esempi: ùna vòlta = una volta; a ɣ'jéra na volta = c'era una volta.

Sostantivi e aggettivi.

I nomi dei primi cinque giorni della settimana lavorativa, come nel Veneziano, non terminano per : Lùni, Màrti, Mèrkul, Žòbia, Vènar.

I numeri cardinali per due e tre hanno maschile e femminile: du màsc, dó féman, tri màsc, tré féman.

I sostantivi e gli aggettivi maschili singolari derivanti da un etimo latino piano perdono comunque l'ultima vocale etimologica e diventano ossitoni. Questo fatto crea situazioni diverse nella produzione dei plurali.

I sostantivi e gli aggettivi maschili singolari derivanti da un etimo sdrucciolo perdono comunque l'ultima vocale etimologica, diventano piani e in linea di massima hanno il plurale invariato. Esempi: un àrbul, du àrbul; un òm débul, du òman débul.

Nei sostantivi e gli aggettivi femminili singolari derivanti da un etimo latino piano della prima declinazione, come si è già notato, la ae del plurale etimologico è evoluta in i. Esempi: ùna putìna, dó putìni; ùna kavàla, dó kavàli; ùna bušɣàta, dó bušɣàti.
Tuttavia, allontanandosi dal Veneto, la i finale risulta spesso molto evanescente e spesso, specialmete se non c'è sovrapposizione con un plurale maschile, viene elisa. Esempi: ùna próva, dó próv; ùna cadéna, dó cadéŋ; ùna kamìša, dó kamìš.
Lo stesso succede per le parole femminili singolari derivanti da un etimo latino piano della terza declinazione. Esempi: una réd, dó réd; una léž, dó léž.
Lo stesso succede anche per i plurali di parole femminili sdrucciole. Esempi: ùna piéɣura, dó piéɣur; ùna bàmbula, dó bàmbul.
Gli aggettivi possessivi sono identici per maschile, femminile, singolare e plurale. Esempio al mjé kavàl, la mjé kavàla, i mjé kavaj, il mjé kavàli.

Aggettivi possessivi.
Italiano Ferrarese
mio, mia, miei, miemjé
tuo, tua, tuoi, tue
suo, sua, suoi, sue
nostro, nostra, nostri, nostrenòstar
vostro, vostra, vostri, vostrevòstar
loro

Aggettivi e pronomi dimostrativi.
Italiano Ferrarese
questo, questa, questi, questequést, quésta, quìsti, quésti
quello, quella, quelli, quellequél, quéla, quéj, quéli

Pronomi.

I pronomi personali hanno forma costante. In posizione enclitica sono spesso elisi.
Esempi: dàmal! = dammelo!; mi a vléva dàrtal = io volevo dartelo.

Pronomi personali.
Italiano Ferrarese
io, memi, j
tuti
lui, leilu, lié / ela
noinu
voivu
lorolór, j

Verbi.

Le voci verbali finite, spesso molto contratte dalla prevalenza dell'accento tonico e quindi spesso coincidenti nelle loro coniugazioni, richiedono, tranne che all'imperativo, l'espressione del soggetto come pronome nominale formato dalla composizione della proclitica a, forse riconducibile alla radice IE *e / *e / * i = quello (IEW 281-286) da cui anche il pronome dimostrativo latino is, ea, id = egli, ella, esso, con l'eventuale pronome personale esplicitato in posizione enclitica. Esempio: a pióv = piove; at va a ka = vai a casa; al va a ka = va a casa.
Per la prima persona la j normalmente è tanto attutita da diventare impercettibile. Esempio: a vaɣ a ka = vado a casa, ma aj ò dit = ho detto.
Un fenomeno analogo si ha per la prima e seconda persona plurale. Esempio vu a gi = voi dite. La a sparisce se la voce verbale inizia con a. Esempio vu andé = voi andate.
Normalmente si ha la specificazione esplicita del soggetto. Esempi: lu al va a ka = lui va a casa; al kan al bàja = il cane abbaia.
Le forme negative sono prodotte unendo alla proclitica a l'enclitica negativa ŋ, esito della radice IE *nĕ / *nē / *nei = non (IEW 756-758) da cui il Latino ne (prefisso in-) = senza, contrario. Esempio aŋ diɣ maj d'il bušjé = non dico mai bugie.
Una forma negativa è spesso rafforzata con brìša, letteralmente bricia, briciola, riconducibile alla radice IE *bhreg = rompere (IEW 165) tramite una possibile base celtica *brego = rompere dalla quale anche le voci di Latino medioevale brisare, britare = rompere (DC); brisatus = rotto; brisatio = rottura; bricia panis = frammento di pane (DC). Esempi: aŋ vój brìša = non voglio; aŋ ò brìša dit = non ho detto. L'uso di questa costruzione corrisponde a quello del Francese pas ed è una evidente influenza del sostrato celtico.
Nelle forme interrogative, come in Francese, il pronome è enclitico rispetto al verbo. Esempi kamìnja? = cammino?, kamìnat? = cammini?, kamìnal? = cammina?, kaminéña? = camminiamo?, kaminèv? = camminate?, kamìni? = camminano?.
All'imperativo il soggetto viene omesso. Esempio kamìna! = cammina!, kaminè! = camminate!.

Non esiste il passato remoto, sostituito dalla perifrasi corrispondente al passato prossimo dell'Italiano. Esempio a són aŋdà = sono andato, andai.
La forma perifrastica italiana stare+gerundio è resa con èsar dré (letteralmente essere dietro). Esempio a són dré aŋdàr = sto andando. Anche questo costrutto rispecchia quello del Francese être en train de.

Verbi ausiliari.

Le coniugazioni verbali regolari sono quattro, riconducibili a quelle latine.

Alcuni verbi irregolari.


Ultimo aggiornamento: Aprile 2014.