2. La nascita della Meccanica Quantistica


La revisione della meccanica newtoniana operata da Einstein nel 1905 con la Teoria della Relatività Speciale, pur inducendo fisici e filosofi a rivedere profondamente la loro concezione dello spazio e del tempo non propose novità altrettanto rilevanti riguardo alla causalità. La Relatività impone un vincolo alla relazione di causalità, imponendo che una causa C ammetta un effetto E solo se E appartiene al futuro assoluto di C, ma non la nega. Per qualunque osservatore le traiettorie dei corpi in moto sono sempre funzioni continue e derivabili rispetto al tempo.

Nello stesso anno 1905 in cui redigeva la Teoria della Relatività Speciale Einstein pubblicò un articolo sull'effetto fotoelettrico in cui dimostrava che l'emissione di elettroni da parte di una superficie metallica irradiata con onde elettromagnetiche di alta frequenza era spiegabile solo assumendo l'ipotesi, già formulata da Planck nei suoi studi sulla radiazione di cavità, che un'onda elettromagnetica scambia energia con la materia non in modo continuo ma in pacchetti discreti ΔE proporzionali alla frequenza ν dell'onda stessa. La costante di proporzionalità era la stessa individuata da Planck, solitamente indicata con h:

fig. 2.1

Altre esperienze, come quelle di Compton, dimostrarono in seguito (1923) che le onde elettromagnetiche possono "urtare" una particella come se fossero composte da corpuscoli dotati di quantità di moto

fig. 2.2

Nella fisica del Settecento e dell'Ottocento era radicata l'idea che l'energia si potesse propagare nello spazio in due modi fondamentali mutuamente esclusivi: o in modo continuo e diffuso, senza spostamento di massa, sotto forma di onde, o in modo discreto e localizzato, associato allo spostamento della massa di particelle. La differenza fondamentale tra queste due modalità di propagazione dell'energia stava nel fatto che due particelle, avvicinandosi allo stesso punto nello spazio, si urtano, scambiandosi energia e quantità di moto; due onde invece si sovrappongono e interferiscono.

Per lungo tempo, ad esempio, i fisici, discutendo sulla natura della luce, si erano divisi tra assertori della sua natura corpuscolare e assertori della sua natura ondulatoria. L'ipotesi ondulatoria prevalse quando si scoprì che la luce presentava fenomeni di interferenza e diffrazione.

I fenomeni citati (la radiazione di cavità, l'effetto fotoelettrico, l'effetto Compton) contrastavano con questo dualismo e mostravano che le onde elettromagnetiche presentavano comportamenti fino ad allora reputati esclusivi delle particelle.

In questo clima, nel 1924, il fisico francese De Broglie, nell'intento di fornire di più solide basi teoriche le teorie di Bohr sulla struttura elettronica degli atomi, ipotizzò che, così come le onde potevano manifestare proprietà corpuscolari come la quantità di moto, anche le particelle, in modo del tutto simmetrico, potessero presentare proprietà ondulatorie. Se è vero che un fotone ha quantità di moto

fig. 2.6

notando che

fig. 2.7

sarà in generale vero che

img

Quindi ad una particella dotata di quantità di moto p può essere associata una lunghezza d'onda λ inversamente proporzionale a p con costante di proporzionalità data dalla costante di Planck:

fig. 2.3

L'ipotesi di De Broglie trovò una verifica sperimentale nel 1927 da parte di Davisson e Germer che osservarono che un fascio di elettroni di quantità di moto p subiva una diffrazione analoga a quella subita da un fascio di raggi X quando era diretto contro la superficie di un cristallo e gli effetti di diffrazione coincidevano con quelli previsti per un'onda di lunghezza fig. 2.3

Ma già a partire dal 1925 Heisenberg e Schrödinger si erano impegnati in lavori di rifondazione teorico-matematica della fisica delle particelle subatomiche, in grado di render conto delle acquisizioni teoriche e sperimentali del primo quarto del nuovo secolo. Questi lavori, pur condotti con metodi diversi (l'algebra delle matrici per Heisenberg, la meccanica ondulatoria per Schrödinger) risultarono sostanzialmente equivalenti.