Quindi la tensione ΔV che rimane disponibile per sostenere la corrente i nel circuito è leggermente minore della f.e.m ed è:
Se si considerasse il caso in cui non venisse applicata una f.e.m. al circuito esso verrebbe alimentato unicamente da una differenza di potenziale dovuta ad una polarizzazione iniziale di carica, ma accade che, per attriti interni ed altri fenomeni che trasformano l'energia elettriche delle cariche in altre forme di energia, la corrente circolante nel circuito non è più stazionaria, ma dipende dal tempo, allora si procede applicando un campo elettrico contrario a quello originario che spinga le cariche negative verso il catodo e quelle positive verso l'anodo; in modo tale da produrre una costanza nel moto delle cariche, ma anche in questo caso risulta difficile raggiungere questo obiettivo poichè agiscono delle forze di attrito che producono una forza controelettromotrice che diventa quasi un fattore irrilevante se gli strumenti per la costruzione del circuito e del suo corretto funzionamento siano ben costruiti. Qualora invece la forza controelettromotrice non sia trascurabile la relazione corretta che esprime la differenza di potenziale misurabile ai capi dei due elettrodi è:
Dove f è la forza elettromotrice e W è la potenza dissipata dal circuito e i è la corrente circolante nello stesso.
Quest'ultima equazione potrebbe assomigliare a quella precedentemente scritta, in realtà la prima si limita a tenere in considerazione della resistenza interna del generatore elettrico, mentre la seconda è più generale poichè considera tutti gli effetti dissipativi che subisce il circuito.
Riprendendo in considerazione il caso ideale la f.e.m. e la differenza di potenziale coincidono poichè la resistenza interna r è nulla.